“Paese
che vai usanza che trovi” dice un vecchio proverbio e le diverse
tradizioni si riscontrano anche nel periodo natalizio. Se ci spostiamo
nel Nord Italia o in alcuni paesi del Nord Europa come l’Austria, la
Germania, l’Olanda, la Danimarca scopriremo che i bambini ricevono i
regali all’inizio di Dicembre e a portarli è un vecchio con il manto
rosso che spesso viaggia in groppa ad un asinello o ad un cavallo
bianco. Chi è questo vecchio? Ma è San Nicola: il personaggio che
trasporta dentro l'atmosfera del Natale !
Non va dimenticato, per
concludere in allegria la giornata tutta particolare del 6 dicembre,
l’assortito spiegamento, nelle vetrine di tutti i paesi del Nord, di un
esercito di dolci in forma di san Nicola: statuine di cioccolato al
latte, fondente o con variegate sfumature di colori, caramelle,
lecca-lecca, pan speziato, biscotti al miele, fiorini d’oro e persino
mongolfiere (particolarità pasticciera di Sint-Niklaas-Fiandre), oltre
alla miriade di gadgets del buon Vescovo: un vero assalto di cacao alla
gola dei bambini…e non solo.
Vi é poi una grande manifestazione degli
studenti di Leida che sfilano indossando vecchi costumi, preceduti dal
carro con cavalli impennacchiati, sul quale, il più bravo di loro siede
vestito da San Nicola. Con queste allegre feste in realtà il mondo
ricorda che, per tutta la sua vita, il vescovo fu sempre vicino ai
fanciulli, insegnando loro a far opere buone, a soccorrere gli infelici e
a confortare i derelitti.
La tradizione nordica vuole infatti che
nella notte del 5 dicembre i bambini lascino un bicchiere di vino e un
piatto con la farina o le bucce di patate in modo tale che San Nicola e
l'asino che lo accompagna possano rifocillarsi mentre distribuiscono
dolciumi ai bambini.
San Nicola si festeggia pressochè in tutti i
Paesi del Nord Europa ma anche in alcune aree italiane come Bolzano e
Merano dove è tradizione che i bambini oggi scrivano la letterina per
chiedere regali e doni da ricevere a Natale e che assistano alle
tradizionali sfilate che vedono il Santo aggirarsi per le città
distribuendo leccornie e doni di vario tipo. Il resto dell'anno lo passa
fabbricando
giocattoli e ricevendo lettere sul comportamento dei
bambini.
Nella tradizione
francese, è chiamato Père Nöel, e la sua festa si è sviluppata in modo analogo alla tradizione anglosassone.Solitamente
San Nicolò è accompagnato da un personaggio chiamato
Knecht Ruprecht (soprattutto nel nord) o
Krampus (nel sud:
Austria,
Svizzera e
Alto Adige), una sorta di
diavolo che si sostituisce a
Babbo Natale allo scopo di
rapire i bambini. Negli
Stati Uniti appendono sopra il caminetto una calza, che in
Italia è invece lasciata per la
Befana,
affinché il donatore la riempia di giochi e dolciumi. In altre culture
mettono le loro scarpette fuori. Lo stesso fanno la sera prima del 6
dicembre, per la festa di
San Nicola. L'usanza di portare doni non è riservata a
Babbo Natale
o ad altri personaggi particolari, ma si sviluppa anche attraverso uno
scambio reciproco di doni, sia in ambito familiare che tra amici.
Un po’ di storia….
Per
quanto strano possa apparire, l’andamento della festa di S. Nicola nei
primi secoli dopo la traslazione è particolarmente carente di
documentazione. Il primo riferimento alla festa liturgica sembra
trovarsi nella narrazione russa: Quel giorno, il papa di Roma Urbano, i
vescovi e tutti i cittadini istituirono una grande festa in onore del
Santo, che ripetono annualmente sino al giorno d’oggi. Mangiarono,
bevvero e fecero festa in quei giorni, e molti doni fecero ai poveri.
Mentre nella bolla di consacrazione di Elia (1089) le espressioni erano
ancora generiche (le festività di S. Nicola, S. Sabino, ecc.), nelle
successive bolle di concessione del pallio da parte dei romani pontefici
si cominciò a distinguere la festività del 6 dicembre da quella del 9
maggio.
Documenti relativi alle due feste e alle fiere divengono
sempre più numerosi nei secoli successivi, anche se nessuno parlerà del
modo in cui la festa popolare si svolgeva. Un particolare che emerge dai
“Quinterni” dell’Archivio di S. Nicola (messi in luce da V.A.
Melchiorre), è quello dell’addobbo della cripta nella prima metà del XVI
secolo. Vi si parla di luci e addobbi diversi, nonché di mazzetti di
“mortella” sparsi qua e là, più tardi sostituiti da rami d’arancio o
limone, che avrebbero dovuto dare una particolare fragranza.
Se
prescindiamo dalla festa liturgica, per giungere su un terreno solido a
proposito della festa popolare bisogna attendere il 1620, con la
comparsa della Historia di S. Nicolò del gesuita barese P. Antonio
Beatillo il qulae afferma che la festa sin dai tempi antichi fu
solennizzata con pompa segnalatissima. Tuttavia egli riporta anche una
tradizione che ricordava da bambino e che quindi affondava le sue radici
in epoche precedenti: l’usanza dell’università di Bari di mandare in
dono in tal giorno alla Chiesa del Santo, per solennizzar più la festa,
molte torce accompagnate per tutte le piazze della città con suoni di
pifari, tamburi, e trombe; e due grandi stendardi lavorati vagamente di
seta, et oro, un de’ quali era della Chiesa stessa del Santo, e l’altro
al principio de’ Duchi, e poi a suo tempo de’ Rè del nostro Regno di
Napoli.
Ancora dai “Quinterni” veniamo a conoscenza del ruolo
riservato nella festa ai fuochi pirotecnici, per i quali il capitolo
destinava somme notevoli. A semplificare la cosa venivano coinvolti i
battaglioni di stanza a Bari. Ad essi veniva consegnata una certa
quantità di polvere, e i soldati avrebbero provveduto a coordinare i
colpi di moschetteria e di cannoni. Poco a poco cominciarono ad essere
ingaggiati abili artificieri, non necessariamente appartenenti
all’esercito, i quali si preoccupavano di sparare in concomitanza della
messa cantata e dopo la recita del panegirico. Il numero dei botti
variava da 160 a 250, a seconda della situazione finanziaria del
momento. Analogamente a quanto accade anche oggi, la scarica di colpi si
chiudeva con due colpi molto più potenti degli altri, designati come
“femmine”.
Due documenti (del 1832 e 1842), tratti dal Melchiorre dal
fondo “Priorato”, sono le prime testimonianze della processione a mare.
Nel secondo di questi, ad esempio, è detto: Per inveterato religioso
costume suole questa città e la mia Real Chiesa specialmente fare la
commemorazione della Traslazione delle reliquie di S. Nicola da Myra a
Bari ove riposano, figurando la venuta del Santo da mare, che viene poi
al Molo ricevuto dalla Plebe cristiana, la quale in gran numero riceve
una statua del Santo nel dì otto d’ogni mese di Maggio, che porta di
giorno e di sera in Processione per la Città con immensi lumi e senza
mai accadervi disturbo alcuno in effetto della somma divozione, che vi
si tiene.
Da una successiva descrizione di Giulio Petroni nella sua
Storia di Bari, si deduce che la festa a mare dell’8 maggio non era
molto diversa da quella attuale, fatta eccezione ovviamente del tipo di
luminarie. Su due battelli la statua di S. Nicola si staccava dalla
spiaggia di S. Leonardo (all’altezza del Largo Adua), e dopo essere
stato sul mare, sull’imbrunire rientrava a terra, continuando la
processione fra due fila di marinai. Questi ultimi portavano giubetta di
velluto nero, panciotto di panno lano scarlatto con parecchi ordini di
bottoni d’argento pendenti, pantaloni di tela bianca con sciarpa di seta
a vari colori stretta ne’ fianchi.
La suggestività della festa a
mare colpì anche un pellegrino russo, Vladimir Mordvinov (nel 1874 o
qualche anno prima), che lasciò questa descrizione: All’alba tutti si
avvicinano al mare. Sul molo, con un ricco addobbo alla maniera degli
altari cattolici, appare il clero di Bari e dei paesi vicini indossando i
paramenti sacri. Su un palco appositamente preparato si dispongono le
autorità civili e militari in uniforme. Il disco del sole emerge dalle
lontane acque dorate del mare, e in lontananza, dall’oriente spunta
appena visibile una flottiglia di piccole imbarcazioni. Sono le barche
che, la sera precedente per tempo, hanno preso il largo senza farsi
notare dagli abitanti. Ora, al mattino, tornano festosamente, riccamente
ornate. Sulla barca principale è innalzata l’immagine di S. Nicola
Taumaturgo, circondata dal clero. Si diffonde nell’aria un soave canto
liturgico, al quale partecipano, quasi fosse un dialogo musicale, altri
cantori ecclesiastici che si trovano a riva. L’arcivescovo con tutto il
clero va incontro alla statua del Santo accogliendola sul molo, e la
processione si snoda gradatamente dal mare verso le vie della città.
Avanti vanno centinaia di bambini vestiti di bianco, che portano fiori.
Dietro, in abiti simili a quelli dei monaci, migliaia di soci di varie
congregazioni religiose di beneficenza. Colossale è la statua del Santo
portata a spalla dai devoti, innumerevoli i cortei del clero recanti
grandi candele in mano, al termine dei quali viene l’arcivescovo col suo
seguito. Ondate di gente, crepitìo di mortaretti, spari, canti e
musiche, al suono di tutte le campane dell’antica Bari e con lo
scampanìo delle celebri campane della Basilica di S. Nicola. Tutte cose
che formano un quadro commovente e solenne. Questa è l’impressione che
si ricava dalla festa in onore del nostro amato Santo in quella lontana
città straniera.
Negli anni ottanta del XIX secolo, forse anche in
prossimità dell’8º Centenario della Traslazione, si cercò di accentuare
l’aspetto organizzativo, introducendo anche la “caravella”. Ai primi del
1887, il Comitato popolare della festività del Centenario di S. Nicola
fu insediato in una diecina di sottocommissioni con compiti specifici
che andavano dalle finanze alla lotteria di beneficenza,
dall’illuminazione e gli spettacoli pubblici alla fiera e al festival.
Alcune commissioni ebbero il compito di curare gli alloggi, le
trattorie, le regate, le musiche e persino la storiografia. Le feste
avrebbero dovuto durare dal cinque maggio, inaugurate da 21 colpi di
cannone, fino al cinque giugno, con la premiazione degli espositori alla
fiera enologica.
Una finta barca o “caravella”, sulla quale dinanzi
alla Basilica la sera del 7 maggio fu issato un vecchio quadro del
Santo, fu trainata a braccia da una trentina di marinai in costume fino
alla piazza Cavour. Li precedeva un vessillifero a cavallo con le
insegne del comune. Il quadro, che sembra essere lo stesso impiegato in
molte recenti edizioni del corteo storico (firmato Simplicius, e datato
MDCXXVI), veniva poi collocato sull’altare del tempietto di piazza
Mercantile.
L’8 maggio si tenne la tradizionale processione a mare,
con sbarco e imbarco sulla spiaggia di S. Lorenzo, con la viva
partecipazione dei pellegrini. E le feste continuarono il 9 e i giorni
successivi. Il che però non vuol dire che si riuscisse a mantenere fede a
tutti gli impegni e progetti. Alcune manifestazioni dovettero essere
omesse, e qua e là affioravano le tracce di una organizzazione alquanto
approssimativa. Tuttavia, non si può negare che quel centenario
rappresentò un momento di spinta nella consapevolezza della
cittadinanza. L’impulso dato in quell’anno, infatti, lasciò tracce anche
negli anni successivi.
Dai primi numeri del Bollettino di S.
Nicola (fondato nel 1906 per raccontare appunto le feste di maggio e di
dicembre) si evince l’attività frenetica nelle vie di Bari in occasione
delle feste. Un gran numero di pellegrini (le cifre variano da 15.000 a
30.000) giungevano specialmente dall’Abruzzo, dal Molise, dalla Campania
e dalle Puglie, incentivati anche dalle sensibili facilitazioni
ferroviarie. Cinque bande musicali si alternavano a creare una festosa
atmosfera in città, mentre la sera il cielo era illuminato dai fuochi
pirotecnici. In alcune manifestazioni erano previsti anche lanci di
palloncini.
Nella Basilica la liturgia era resa solenne da rinomati
predicatori e dalle esecuzioni della Schola cantorum guidata dal maestro
P. La Rotella. I canonici si preoccupavano anche di offrire il pranzo
ai pellegrini che venivano da lontano (nel 1907 lo ebbero ben 6730
pellegrini).
Pellegrinaggi sono attestati da Frignano Maggiore (CE),
Parete e S. Cipriano d’Aversa, Lusciano, S. Arpino, Teverola, Caivano,
Cesa (CE, pellegrinaggio dal 1871 guidato dal capogruppo Mosé Ferrante),
Vasto Aimone (350 persone, di cui 289 a piedi), Lanciano e S. Vito di
Lanciano, Guardiagrele, Orsogna (Chieti), Castelpetroso, S. Angelo in
Grotte, Pollutri, Toro, Casalanguida, Mafalda, Palmoli, Castelfrentano,
Bomba. Pietrelcina e Montenero di Bisaccia. Così fotografava il
Bollettino la situazione nel 1908: Le compagnie di pellegrini recatisi
in Bari a sciogliere i loro voti sulla Tomba del Santo dal 20 aprile a
tutto Maggio furono in numero di 121 con un complessivo di n. 15 mila
provenienti in gran parte dagli Abruzzi, dalla Capitanata, dal Molise,
dalla Campania e da tutte le Puglie. Di questi ricevettero gratis il
pranzo nell’Ospizio annesso alla R. Basilica quasi novemila oltre a
quelli che, non potendo fermarsi più a lungo in Bari per attendere il
loro turno, ebbero la sola devozione del pane benedetto.
Per il 1913
il Bollettino di S. Nicola invitava a sempre più splendide feste
popolari, ma distinguendole più chiaramente dalle feste religiose. Fu
questo un cammino lento, ma continuo. Ed infatti, quando nel 1952 prese
il via il Maggio di Bari, le manifestazioni civili furono nettamente
distinte da quelle religiose, anche se in alcuni punti il clero
partecipava alle manifestazioni civili.
Nel frattempo, dal 1951 la
Basilica era affidata alle cure dei Padri Domenicani, subentrati, per
volere del papa Pio XII al real capitolo nicolaiano. I nuovi religiosi
si trovarono così, con fresco entusiasmo, a sposare il nuovo vento di
primavera delle feste di maggio. E gli anni Cinquanta divennero l’epoca
d’oro del Maggio di Bari e del Corteo Storico. Ogni nuovo priore dei
Domenicani dall’inizio fino ad oggi ha cercato di imprimere un nuovo
ritmo. E particolarmente spettacolare risultò la festa del 1987,
fortemente voluta dal padre Damiano Bova, rettore del tempo, in
occasione del nono centenario. Rieletto nel 2005 continua a tenere i
contatti con la pubblica amministrazione, affinché sempre più articolato
sia il coordinamento fra le manifestazioni civili e quelle religiose.
I
pellegrini vengono ancora, specialmente dalla Campania e dall’Abruzzo e
Molise. Il compito della Città è quello di saper essere ospitale e di
accoglierli con affetto e simpatia.